Nicola Patitari: Un Viaggio attraverso la Storia di un Eccezionale Personaggio

LE POESIE IN VERNACOLO DI NICOLA PATITARI

Nicola Patitari. È considerato il più geniale e importante poeta dialettale gallipolino del XIX secolo (1852-1898).

Patitari, che usava lo pseudonimo di "Ippazio Tari", è noto per i suoi componimenti poetici in vernacolo, molti dei quali furono pubblicati su giornali locali come "Lo Spartaco" e "Mamma Sarena". Le sue poesie erano molto apprezzate dalla gente di Gallipoli, che lo chiamava affettuosamente "don Cocco".
Tra le sue opere più conosciute ci sono poesie come "La Mujere de lu piscatore" (La moglie del pescatore) e "Piccinnu mortu" (Fanciullo morto). Oltre alla poesia, si è cimentato anche nella scrittura di brevi commedie in dialetto.
La sua figura è stata oggetto di studi e approfondimenti, ed è ricordato come un poeta che seppe interpretare e rendere il pensiero e il sentimento del suo popolo.
Le poesie di Patitari si distinguono per la loro fluidità lirica, con il dialetto che si piega a esprimere con naturalezza ogni piega del sentimento.

È stato descritto come il "cantore dell'anima del popolo gallipolino", capace di cogliere e rendere il pensiero e il sentimento della gente del luogo.
Il suo stile è caratterizzato da arguzia e ironia, con componimenti che sanno essere pungenti e faceti, ma anche dolci e pittoreschi.

Opere teatrali

Oltre alla poesia, Patitari scrisse anche quattro brevi commedie in dialetto.
Tra queste, si ricordano la farsa in un atto "Secolo XIX" (composta nel 1889) e lo scherzo comico in due atti "La linfa del Prof. Hoch" (del 1890).
È stato uno dei principali commediografi dialettali del suo tempo a Gallipoli.

Critica e traduzioni

L'opera di Patitari fu apprezzata anche da letterati dell'epoca. Si narra che un critico letterato, Domenico Franco, disse che una traduzione in vernacolo del "Canto dell'odio" di Lorenzo Stecchetti, realizzata da Patitari, era così ben riuscita da superare l'originale.
Nonostante i giudizi positivi di personalità importanti, la sua figura rimase in gran parte circoscritta all'ambito locale, anche se è considerato un esponente di spicco della poesia dialettale salentina dell'Ottocento.

La Mujere de lu piscatore


Na varca vedu a nu lontanu mare,

e nu la sacciu si è la vara tua;

lu core miu me vasa de dulore,

e l'occhi mi s'incanuscianu a chist'aria.

A chista aria de scuru e de burrasca,

e nu lu sacciu si te pozzu chiamare;

e si me senti, o mio piscatore,

ca lu mare se vasa ccu lu dulore.

Ah! Quista è la tempesta e li furtoni

ca s'hannu fattu d'ognunu lu luttone;

ah! ca te pregu, o Dio, ccu lu me core

nu me cagnare l'amore cu lu dulore.

L'onde sbattanu e lu sciuppu si sente,

lu sciuppu forte, e lu luttu è ccumminatu;

e l'occhi mi nu vidu lu mare,

ma l'anima mea è nu piscatore.

Lu piscadore meu sta ncanti a lu mare,

e nu lu pozzu cchiui 'ncunisci lu sule;

e lu sule si 'nguazza, e nu lu sacciu,



















si lu piscatore meu è cu lu sole.

LA MOGLIE DEL PESCATORE

Vedo una barca in un lontano mare,

e non so se è la barca tua;

il cuore mio si lacera dal dolore,

e gli occhi miei si consumano in quest'aria.

In quest'aria di buio e di burrasca,

e non so se posso chiamarti;

e se mi senti, o mio pescatore,

che il mare si lacera con il dolore.

Ah! Questa è la tempesta e i fortunali

che si sono fatti un lutto di ognuno;

ah! Che ti prego, o Dio, con il mio cuore

non scambiarmi l'amore con il dolore.

Le onde sbattono e si sente il fragore,

il fragore forte, e il lutto è compiuto;

e gli occhi miei non vedono il mare,

ma la mia anima è un pescatore.

Il pescatore mio sta davanti al mare,

e non riesco più a vedere il sole;

e il sole si vela, e non so,

se il pescatore mio è con il sole.

Il commento